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  • Insicurezza, discriminazione, sfruttamento: la dura realtà dei giocattoli made in China

    L’ultimo rapporto di China Labor Watch, ong con base a New York fondata nel 2000, denuncia pesanti violazioni dei diritti dei lavoratori in quattro fabbriche della provincia del Guangdong che riforniscono alcune grandi multinazionali. In Italia, intanto, si susseguono i sequestri di articoli pericolosi per la salute dei bambini
    ROMA - Assenza di controlli medici e dispositivi di sicurezza, formazione carente, discriminazione, requisizione dei documenti personali, contratti incompleti o inesistenti e straordinari che superano le 120 ore mensili, quando il massimo stabilito dalla legge è di 36 ore. Queste le pesanti condizioni in cui sarebbero costretti a lavorare gli operai delle fabbriche cinesi di giocattoli, che riforniscono alcune tra le principali multinazionali del settore.

    The real toy story. A denunciarlo è l’ultimo rapporto di China Labor Watch, organizzazione non governativa con base a New York fondata quattro anni fa, che tra giugno e novembre ha condotto un’indagine sulle condizioni di lavoro in quattro stabilimenti della provincia del Guangdong con il metodo incrociato della presenza sotto copertura e delle interviste fuori orario di lavoro, realizzate con la garanzia dell’anonimato. La dura realtà che emerge dal rapporto è la stessa documentata l’anno scorso dal fotografo tedesco Michael Wolf nel progetto intitolato “The real toy story”, che mostra attraverso una serie di scatti e un’installazione artistica le varie fasi della produzione all’interno di cinque fabbriche cinesi di giochi.

    Molti operai pagati poco più di un euro all’ora. In uno scenario molto competitivo, in cui tante aziende lottano tra loro per aggiudicarsi gli appalti delle multinazionali del giocattolo, il costo del lavoro diventa spesso l’unica variabile flessibile, che si traduce in un compenso mensile base di circa 174 euro, che può salire a 390 lavorando 12 ore al giorno sei giorni a settimana. Molti operai, però, sono assunti come lavoratori temporanei, ovvero senza contratto e con una paga pari a poco più di un euro all’ora.

    A rischio anche la qualità dei prodotti finali. La violazione dei diritti dei lavoratori e delle misure di sicurezza non è, però, l’unico elemento di preoccupazione. Anche la qualità dei prodotti finali che arrivano sugli scaffali di tutto il mondo – in Cina viene prodotto circa il 75% dei giocattoli in commercio – può infatti sfuggire ai controlli. Uno dei casi più eclatanti da questo punto di vista è quello che nel 2007 ha coinvolto la Mattel, primo produttore mondiale di giocattoli, che decise di ritirare volontariamente dal mercato una partita composta da circa 18,2 milioni di giochi prodotti in Cina – oltre mezzo milione dei quali destinati ai negozi italiani – dopo che era emerso che nella fabbricazione erano stati utilizzati vernici contenenti alti livelli di piombo, sostanza tossica che può danneggiare il sistema nervoso centrale, e piccoli magneti pericolosi se ingoiati dai bambini.

    A Trento ritirati 1.200 articoli tossici con etichette fuorvianti. Ancora oggi nel nostro Paese ogni mese si susseguono sequestri di giocattoli made in China. L’Agenzia delle dogane in settembre ha sequestrato a Milano 500 peluche privi dell’etichettatura prevista dalla legge e realizzati con materiale scadente. L’Istituto superiore di sanità ha poi confermato che le norme di sicurezza non erano state rispettate. In ottobre 13mila giochi sono stati ritirati a Taranto e dalla perizia richiesta all’Iss, nell’ambito della convenzione Giocattolo sicuro 2013-2014, è emerso che alcuni composti chimici tossici erano in quantità superiore ai limiti consentiti. Risale alla fine di novembre, invece, il sequestro a Trento di 1.200 giochi dichiarati “per animali”, come ha rilevato l’Agenzia delle dogane, ma con etichette del tutto fuorvianti che inducevano a ritenere che fossero destinati ai bambini. I controlli hanno evidenziato la presenza di sostanze plastificanti tossiche pari al 30% del loro peso, quando il limite previsto dalla normativa comunitaria è pari allo 0,1%.

    Papale (Inail): “Il rispetto degli standard garantito dal marchio CE”. Per Adriano Papale, medico ricercatore dell’Inail da anni impegnato in ricerche sulla sicurezza negli ambienti di vita e, in particolare, dei bambini, la prima regola per assicurarsi che un gioco non sia pericoloso è “verificare che abbia il marchio CE, che garantisce il rispetto degli standard di qualità e i requisiti essenziali di sicurezza previsti dal decreto legislativo numero 54 dell’11 aprile 2011, che ha recepito la direttiva giocattoli 2009/48/CE del 18 giugno 2009”. Occorre però fare attenzione, precisa Papale, perché “le aziende cinesi hanno creato un nuovo marchio CE, il China Export, che è molto difficile da distinguere da quello europeo. La differenza più evidente è il maggiore spazio tra le lettere C ed E del marchio della Comunità europea”.

    Dalle sostanze chimiche alle avvertenze, tutti i requisiti previsti. Il marchio CE europeo garantisce che il giocattolo non contenga sostanze chimiche tossiche come gomma e coloranti, che sia sicuro dal punto di vista elettrico e che il gioco e le sue parti siano di dimensioni tali da evitare il pericolo di soffocamento. Quando ciò risulti opportuno per la sicurezza d’uso, il giocattolo deve inoltre essere corredato da avvertenze in italiano, che devono comprendere almeno l’età minima o massima di chi lo utilizza ed eventualmente le abilità necessarie per usarlo il in modo sicuro, come il peso e la capacità di stare seduto senza l’aiuto di un adulto.

    A chi spettano i controlli. In Italia le autorità di vigilanza preposte a effettuare i controlli sulla sicurezza dei giocattoli sono il Ministero dello Sviluppo economico, che si avvale delle Camere di commercio e della Guardia di finanza, il Ministero della Salute, per gli aspetti di specifica competenza, e l’Agenzia delle dogane, per il controllo alle frontiere esterne. Per i giochi a rischio sicurezza possono ordinare il richiamo o, eventualmente, il ritiro dal commercio. Le sanzioni previste per chi fabbrica o immette sul mercato articoli privi dei requisiti essenziali di qualità e sicurezza sono sia di tipo amministrativo sia penale (arresto e ammenda), a seconda della gravità dell’infrazione commessa.

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